Le città invisibili si materializzano all’«AXRT Contemporary Gallery» di Avellino, con le opere di Max Coppeta e le performance di Margherita Peluso
Sabato 23 febbraio, la città di Avellino è diventata centro di un importante esperimento di contaminazione di diversi linguaggi espressivi dell’arte contemporanea: performance, letteratura, installazione, scultura, pittura.
«The Invisible Cities» è il titolo di un percorso estetico di un viaggio immaginario. Protagonista è la performer Margherita Peluso, guida di un racconto in riferimento a «Le città invisibili» di Italo Calvino, in simbiosi con la ricerca di Max Coppeta, per fare esplorare in tutte le direzioni il pensiero che si nasconde dietro alle opere.

Copyright © Max Coppeta. All rights reserved.
La funzione è duplice: comprendere l’opera e farsi opera. Sono innovativi i materiali dei lavori (metacrilato, pvc, colle, resine), che riproducono urbanizzazioni inedificate e organizzate in un ordine schematico, amplificandone la desolazione sociale dei nostri tempi. Queste città vivono il caos come abitudine quotidiana e la Peluso, nelle sue tre azioni performative, porta all’eccesso questa distorsione del fare umano; è così che il pubblico, a tratti infastidito o totalmente immerso, ne percepisce come innaturale questo stato confusionale.

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La performance «La città e i segni» («Appunti opachi», 2018) è la prima tappa nel nostro cammino: parole assemblate su ispirazione della poesia Dada in chiave Sound Poetry, per subliminare l’idea di disorganizzazione attraverso una visione cinematografica.

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«La città e gli occhi» («Vanity», 2018) è il racconto dello sguardo duplice che censura se stesso, deformandosi fino ad annullarsi completamente. Attuale è l’emulazione di modelli estetici che giustificano atti di vanità per raggiungere l’apprezzamento collettivo, sacrificandone il sé.

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Ultima tappa, ma solo di questo viaggio è «La città e il cielo» («Lost», 2016). Gli occhi non sono rivolti verso l’alto, ma costretti nelle profondità. Di matrice teatrale è questa esperienza, dove la performer destabilizza l’equilibrio dello spettatore per fare percepire l’instabilità’ della natura umana, parlando con la propria ombra. Riconduce a dei riti magici per valorizzare il futile, per renderlo necessario.

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La tela, da sempre supporto fondamentale per la pittura, dimentica per un attimo il suo fine ultimo. Margherita Peluso, per un istante, veste i panni indigeni e nell’atto dello sputare ricopre la superficie bianca. Molteplici sono le chiavi di lettura per questo gesto, dove forza fisica e concentrazione mentale diventano arte. Se sciamanico è l’atto, visivo è il risultato. Reale e sovrannaturale si sovrappongono, rievocando una possibile cura dagli eccessi per risvegliare nuovi stati di coscienza.

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La raccolta dei lavori è unita dall’idea di voler rappresentare diversi momenti creativi come fossero città mentali, per questo invisibili.
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